Coinvolti anche intermediari che gestivano commercio illecito delle informazioni estratte dalle banche dati. La denuncia partita da Tim.
"E' la prima indagine in cui viene applicata una fattispecie introdotta
nel nostro ordinamento nel 2018, l'articolo 167 bis del testo unico
della Privacy e che colpisce chi diffonde archivi personali procurando
un danno", hanno detto il procuratore capo di Roma, Michele Prestipino, e
il procuratore aggiunto Angelo Antonio Racanelli. "Le banche dati -
hanno aggiunto - sono diventate un obiettivo molto appetibile per
mettere in atto attività illecita".
Coinvolti anche “intermediari” che si gestivano il commercio illecito di informazioni estratte dalle banche date ed i titolari di call center telefonici che sfruttavano informazioni per contattare i potenziali clienti e lucrare le previste commissioni, secondo le indagini ogni portabilità del numero arrivava fino a 400 euro per ogni contratto stipulato.
Rubavano informazioni personali dalla banca dati dei gestori telefonici
e le rivendevano ai call center. Un traffico illegale, "un mercimonio",
di nomi, indirizzi, numeri di telefono utilissimi per campagne
commerciali, non solo nel settore delle telecomunicazioni, che questa
mattina ha portato gli investigatori specializzati del Centro nazionale
anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche
(Cnapic) della polizia postale ad eseguire 20 misure cautelari
principalmente tra Lazio e Campania: 13 indagati sono stati sottoposti
agli arresti domiciliari e sette all'obbligo di dimora. I reati
contestati a vario titolo ed in concorso dall'accesso abusivo a sistema
informatico), alla detenzione abusiva e diffusione di codici di accesso,
alla comunicazioni e diffusione illecita di dati personali oggetto di
trattamento su larga scala. Si tratta in larga parte di dipendenti
infedeli della Tim e responsabili di 13 call center. I primi attraverso
accessi abusivi al sistema dell'azienda carpivano dati personali di
utenti e i secondi compravano quei dati per usarli nelle proposte di
contratti di altri gestori. Un'indagine complessa nata a febbraio da una
denuncia presentata proprio da Tim che aveva riscontrato accessi
anomalie al proprio data base, spesso in orari notturni o comunque non
di lavoro. I 13 indagati arrestati, sono principalmente dipendenti
infedeli Tim, due di Roma, in resto della Campania, che eseguivano
accessi alla banca dati dell'azienda e, pensando di agire in incognito,
si appropriavano e usavano password di ignari colleghi. Ogni record,
l'insieme di dati di un singolo utente, veniva pagato da 3 ai 5
centesimi. Numeri che diventano molto più consistenti considerata la
mole dei dati sottratti: 100mila record al mese, oltre un milione in
totale. E i compratori non mancavano. Grazie al possesso dei dati,
infatti, i call center che prima realizzavano contratti al 5 per cento
delle persone contattate, grazie all'accesso ai dati, hanno visto
lievitare la percentuale dei contratti fino al 25 per cento. Un affare
di spessore considerando le provvigioni per ogni contratto stipulato
comprese tra i 250 e i 400 euro.
Gli indagati nell'operazione "data room", come la "cassaforte" di
dati oggetto del furto, sottraevano e vendeva in particolare i dati
personali dalle liste delle utenze che segnalavano guasti o disservizi,
oppure quelli che cambiavano frequentemente operatore. Erano quelli i
dati che i call center preferivano e che ovviamente pagavano meglio dato
che un utente insoddisfatto del servizio telefonico, è quello che
valuta con maggior propensione il cambio di gestore. Oltre ad usarli in
proprio, l'acquirente di pacchetti dati così illecitamente acquisiti, li
rivendeva dopo averli usati ad altri call center che proponevano anche
tipologie merceologiche diverse ed in particolare contratti di tipo
energetico. "È così spiegato - hanno detto gli investigatori della
Postale nel corso della conferenza stampa in procura a Roma- come fanno
alcuni call center a chiamare potenziali clienti che mai hanno fornito
assensi la divulgare loro dati personali". "È la prima volta che si
applicano misure cautelari per un reato di questo genere". Lo ha detto
il procuratore capo Michele Prestipino nel corso della conferenza stampa
che si è svolta questa mattina in procura che ha seguito l'operazione
"data room" con la quale la polizia postale ha eseguito 20 misure
cautelari di cui 13 ai domiciliari e sette obblighi di dimora con
divieto di esercitare imprese. "Vicenda nuova - dice anche Prestipino - e
che costituisce gravi violazioni della privacy nel settore delle
telecomunicazioni. Operazione che nasce da una denuncia presentata dalla
Tim che è parte offesa".
Fonte : Affari Italiani
Fonte : Agenzia Nova